Tutto a Wuhlheide

E poi arriva quel primo colpo di batteria o di basso che ti fa vibrare i polmoni. E lì capisci che sei al posto giusto, nel momento giusto, in equilibrio, felice.

È ancora la band spalla ma non importa, quella prima vibrazione nei polmoni è l’inizio che aspettavi.

Prima hai attraversato mezza città, poi il parco, ti sei chiesto se sia buona l’entrata in cui ti trovi, se ce ne sia una migliore per raggiungere in fretta le prime file sotto il palco. A pensarci prima quelle ore d’attesa fuori dal cancello, poi sotto il palco spento, dove c’è qualcuno che legge un manuale di meccanica quantistica, sembrano troppo lunghe. Invece volano via.

Temi che un concerto in mezzo ai tedeschi, tutti mediamente molto alti, possa essere un problema. Poi scopri che se chiedi al tipo davanti a te di cederti il suo posto perché sei molto più bassa, lui te lo cede.

Poi vola via anche il gruppo spalla.

Ancora una mezzora per sistemare di nuovo il palco e poi due ore di meraviglia pura.

In questo periodo il mondo sembra diviso tra chi ama i Radiohead e chi si lamenta per il tanto clamore dei fan rispetto al tour mondiale.

E io volevo parlare in genere dell’emozione di un concerto a Wuhlheide però ieri sera io ero a quel concerto e non c’è niente di generico in un concerto che aspetti dal vent’anni, della band che ami di più in assoluto. Un concerto meraviglioso. Ma alla fine non posso fare altro che rubare le parole di un altro per descriverlo: “i Radiohead sono più della somma delle loro parti”.

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